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mente angelico o demoniaco, e che i contadini non aves-
sero torto nel trovargli quella ambiguità che obbliga
all adorazione. Già, la sua origine era misteriosa. Questo
cane era stato trovato in treno, sulla linea che da Napoli
va a Taranto, con un cartellino appeso al collare che di-
ceva: «Il mio nome è Barone. Chi mi trova abbia cura di
me». Non si seppe dunque mai di dove venisse: forse
dalla grande città, poteva essere il figlio di un re. Lo pre-
sero i ferrovieri, e lo tennero qualche tempo alla stazio-
ne di Tricarico; quelli di Tricarico lo regalarono ai ferro-
vieri della stazione di Grassano. Il podestà di Grassano
lo vide, se lo fece dare dai ferrovieri, e lo tenne nella sua
casa con i suoi bambini, ma poiché faceva troppo chias-
so, ne fece dono a suo fratello, segretario del sindacato
dei contadini di Grassano, che lo portava sempre con sé,
nei suoi giri per la campagna. Tutti conoscevano Baro-
ne, e tutti, a Grassano, lo consideravano un essere
straordinario.
Un giorno, nei tempi in cui vivevo solo laggiú, mi av-
venne di dire per caso a dei miei amici contadini e arti-
giani che non mi sarebbe dispiaciuto avere un cane, per
la compagnia. La mattina dopo mi portarono subito un
cucciolo, uno dei soliti cani gialli da caccia. Lo tenni
qualche tempo, ma non mi piaceva: non mi riusciva di
allevarlo, sporcava dappertutto, e non mi pareva intelli-
gente: perciò lo restituii a quelli che me l avevano rega-
lato, e non pensai piú a cani. Ma quando arrivò improv-
visamente l ordine di partire per Gagliano, e quella
buona gente che mi si era affezionata ne fu spiacentissi-
ma, come di una disgrazia che li avesse ingiustamente
Letteratura italiana Einaudi 105
Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli
colpiti, i contadini vollero lasciarmi un regalo, che mi se-
guisse e mi rammentasse che a Grassano c erano dei
buoni cristiani che mi volevano bene. Si ricordarono di
quel mio vecchio desiderio, che io mi ero ormai dimen-
ticato, e decisero di regalarmi un cane. Ma nessun altro
cane era degno di me, se non il famoso Barone; e Barone
doveva essere mio. Tanto dissero e tanto fecero, che riu-
scirono a farselo dare dal suo padrone, lo pulirono, lo
lavarono, gli cercarono un bel collare, una museruola, e
un guinzaglio. Antonino Roselli, il giovane barbiere e
flautista, che sognava di seguirmi in capo al mondo co-
me mio segretario, lo tosò da leoncino, lasciandogli il
lungo pelo sul davanti, e rasandolo sul dietro, con un
grosso ciuffo in cima alla coda; e ingentilito, bianco,
profumato e travestito, Barone, il selvaggio Barone, mi
fu offerto in dono, a ricordo eterno della buona città di
Grassano, il giorno prima della mia partenza. Cosí truc-
cato e abbellito, io stesso non capivo che cane fosse: mi
pareva uno strano miscuglio di cane barbone e di cane
da pastore. In verità era forse un cane da pastore, ma di
una razza o incrocio non comune: non ne ho mai incon-
trati altri identici. Era di media grandezza, tutto bianco,
con una macchia nera sulla punta delle orecchie, che
aveva lunghissime e pendenti ai lati. del viso. Questo era
molto bello, come quello di un drago cinese, spaventoso
nei momenti di furore, o quando mostrava i denti, ma
con due occhi rotondi e umani, color nocciola, coi quali
mi seguiva senza voltare il capo, pieno volta a volta di
dolcezza, di libertà e di una certa infantile misteriosa ar-
guzia. Il pelo era lungo quasi fino a terra, ricciuto, mor-
bido e lucente come la seta: la coda, che egli portava ar-
cuata e svolazzante come un pennacchio di guerriero
orientale, era grossa come quella di una volpe. Era un
essere allegro, libero e selvaggio: si affezionava, ma sen-
za servilità; ubbidiva, ma conservava la sua indipenden-
za; una specie di folletto o di spiritello familiare, bona-
Letteratura italiana Einaudi 106
Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli
rio, ma, in fondo, irraggiungibile. Piú che camminare,
saltava, a grandi balzi, con un ondeggiare delle orecchie
e del pelo; inseguiva le farfalle e gli uccelli, spaventava le
capre, lottava con i cani e coi gatti, correva da solo pei
campi guardando le nuvole, sempre pronto, scattante, in
un continuo gioco aereo, come seguisse il filo ondulante
di un innocente pensiero inumano, l elastico incarnarsi
di un bizzarro spirito dei boschi.
Fin dal nostro primo arrivo a Gagliano, l attenzione
di tutti si posò su questo mio strano compagno: e i con-
tadini, che vivono immersi nell incanto animalesco, si
accorsero subito della sua natura misteriosa. Non aveva-
no mai visto una bestia simile: in paese ci sono soltanto i
segugi bastardi, buoni cacciatori talvolta, ma miseri,
umiliati, plebei; e solo di rado passa, dietro i greggi ed i
pastori, qualche maremmano feroce, col collare irto di
punte di ferro, contro il morso dei lupi. E poi, il mio ca-
ne si chiamava Barone. In questi paesi, i nomi significa-
no qualcosa: c è in loro un potere magico: una parola
non è mai una convenzione o un fiato di vento, ma una
realtà, una cosa che agisce. Egli era dunque, davvero, un
barone; un signore, un essere potente, che bisognava ri-
spettare. Se, fin dal primo giorno, io fui guardato dai
popolani con simpatia e quasi con ammirazione, lo do-
vetti certo un poco anche al mio cane. Quando egli pas-
sava, pazzamente saltando e abbaiando nella sua folle li-
bertà naturale, i contadini se lo additavano, e i ragazzi
gridavano: Guarda, guarda! Mezzo barone e mezzo
leone! Barone per loro era un animale araldico, il leo-
ne rampante sullo scudo di un signore. E tuttavia era
soltanto un cane, un frusco come tutti gli altri: ma que-
sta sua doppia natura era meravigliosa. Anch io lo ama-
vo per la sua semplice molteplicità. Ora egli è morto, co-
me mio padre a cui l avevo regalato, ed è sepolto sotto
un mandorlo in faccia al mare di Liguria, in quella mia
terra dove io non posso mettere il piede, poiché pare
Letteratura italiana Einaudi 107
Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli
che i potenti, nel loro terrore del sacro, abbiano scoper-
to che anche in me è una doppia natura, e che, anch io,
sono mezzo barone e mezzo leone.
Tutto, per i contadini, ha un doppio senso. La donna-
vacca, l uomo-lupo, il Barone-leone, la capra-diavolo
non sono che immagini particolarmente fissate e rilevan-
ti: ma ogni persona, ogni albero, ogni animale, ogni og-
getto, ogni parola partecipa di questa ambiguità. La ra-
gione soltanto ha un senso univoco, e, come lei, la
religione e la storia. Ma il senso dell esistenza, come
quello dell arte e del linguaggio e dell amore, è moltepli-
ce, all infinito. Nel mondo dei contadini non c è posto
per la ragione, per la religione e per la storia. Non c è
posto per la religione, appunto perché tutto partecipa
della divinità, perché tutto è, realmente e non simbolica-
mente, divino, il cielo come gli animali, Cristo come la
capra. Tutto è magía naturale. Anche le cerimonie della
chiesa diventano dei riti pagani, celebratori della indiffe-
renziata esistenza delle cose, degli infiniti terrestri dèi
del villaggio.
Eravamo alla metà di settembre, la domenica della
Madonna. Fin dal mattino le strade erano piene di con-
tadini vestiti di nero, c erano dei forestieri, i musicanti
di Stigliano e gli artificieri di Sant Arcangelo, venuti a
disporre le bombe e i mortaretti. Il cielo era chiaro e leg-
gero, e ogni tanto giungeva, per l aria, con il suono fune-
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