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to c è il vuoto. Ha belle risvolte, ben fatte. Pacati inge-
gneri, tranquilli amministratori della provincia, minatori
e sterratori solidi devono averne curato ed eseguito la
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Carlo Emilio Gadda - Racconto italiano di ignoto del novecento
esecuzione. Nei freddi mattini, con grosse scarpe, si sa-
ranno soffiate le mani gelate: ma poi il lavoro riscalda, e
chiama pane nel sangue giocondo.
Anche gli ingegneri parlano il dialetto e hanno scarpe
grosse. Tengono il bavero rialzato, il bavero di pelliccia
un po rozza: di capretto o di volpe. I loro calzoni sono
senza piega.
Svoltando un saliente la strada passa dalla fredda om-
bra del monte nella luce | intensa, che dovrebbe essere
calda, ma ancora non è.
Carletto andava lestamente, con diciannove lire. Con-
tava i kilometri, che erano lunghi, bastardi. E ancora tre
mancavano per arrivare: per dove arrivare? Li aveva
piantati: certi sfruttatori è meglio perderli che trovarli,
tanto piú quando si fanno belli davanti alle ragazze per-
ché hanno quattro soldi da parte, e si tengono su, come
se fossero dei marchesi.
Ma, adesso, chi è che andava a trovare? Altri sfrutta-
tori forse, e magari peggio dei primi. Però no. Si dava
animo, cercava un poco di pace. Questa è una società,
non sono dei padroni. Basta fare il proprio dovere e non
vorranno romperti le scatole anche loro. Che se poi te le
rompono, si è in maggior numero: e la ragione dovranno
capirla per forza.
Il mattino era proprio sereno: gli abeti si disegnavano
cosí nitidamente da invitare un fotografo a provare le
meraviglie delle sue lenti. Uno storico invece avrebbe
pensato, fra quei monti, a Servio Galba o a | Druso, an-
che loro calmi, pacati, sereni, «per acuta belli.» Davano
ordini rapidi, giusti, radunavano i subalterni e li consul-
tavano nelle difficili ore, e poi il comando era dato; e
quel comando, che era dato, quello era anche eseguito.
Il loro comando non era assurdo, perché il mondo rea-
le operava potentemente sui loro spiriti onesti sicché la
loro volontà sintetizzava con certezza soltanto il possibi-
le. Essi erano inetti ai sogni fallaci. Allora, sulla loro cer-
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Carlo Emilio Gadda - Racconto italiano di ignoto del novecento
tezza, i loro soldati operavano sicuri combattimenti. E a
chi toccava, quello era uomo, sapeva essere uomo.
Carletto sudava: e sudando pensava che tutto è ingiu-
sto nel mondo. Ecco, da questi monti cadono le acque,
che sono la nostra ricchezza. E vengono qui degli altri,
che non c entrano niente, e solo perché hanno dei soldi,
e saran pieni di vizî, solo per questo e per nient altro che
questo, ce la portano via: e il boccone buono è per loro.
E a noi non ci resta che lavorare, lavorare sempre, come
schiavi o come dannati. Ci lasciano mangiare quel tanto
che basti perché possiamo lavorare anche domani. | Ma
quando non siamo piú buoni a lavorare, allora dobbia-
mo crepare, e alla svelta. Allora siamo scarpe fruste che
si gettano via.
Egli adoperava la locuzione «la nostra ricchezza»
perché di una tal locuzione aveva visto servirsi anche al-
tri, sia nei discorsi, sia nei giornali. Da sé solo non aveva
mai potuto pensare che l acqua del Devero che come
un potente martello rompe i gradoni di gneiss, e che fa
paura alla famiglia dei Sassella, quando ingrossa, potes-
se chiamarsi ricchezza. Ricchezza sono i denari, tanti
denari: gli anelli di oro, i terreni, la casa comoda e il
pollaio bel pieno. Quando non si domanda il permesso
a nessuno per tirare il collo a un paio di galletti, se ti
senti un po di nostalgia addosso, e hai bisogno d un
brodo un po sostanzioso. Ma dal momento che tutti di-
cevano che il Devero era «la nostra ricchezza», doveva
essere vero. E del resto, era proprio vero: perché tutti lo
dicevano che poi, quando gli impianti sono finiti, la so-
cietà guadagna tutto quello che vuole. «Quando gli im-
pianti sono finiti!»
***
Due autocarri e un automobile, fermi davanti a una
casetta nuova, all entrar nel paese: tre chauffeurs con le
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mani in tasca e il paltò aperto, che parlavano in crocchio
presso la porta, e due uomini con abiti buoni, all appa-
renza gente di lavoro, che ne uscivano in quel momento,
fecero comprendere a Carletto che la Società elettrica,
che faceva i lavori, doveva star lí di casa.
«Chi cerchi?», gli chiese uno dei tre al vederlo un po
imbarazzato. «Volevo parlare col signor ingegner (fra-
tello di Maria *) De Vendôme, che è un mutilato di
guerra, vero? Perché ho un biglietto per lui, che devo
portarglielo io stesso.» «Ma vuoi parlare proprio con
l ingegnere Vendôme?» «Sí, sí, con lui.»
Gli indicarono allora la strada che doveva fare, per
trovare l ingegnere. Era un altro buon chilometro, dopo
traversato il paese.
Carletto accollò questo contrattempo alla Società
elettrica, o al suo proprio destino, e si rimise di buon
passo, ma di mal umore.
Raggiunse finalmente un largo spiazzo, a | lato della
strada, la quale traversava ora il fondo della valle. Da
questo spiazzo si dipartivano due altre strade: una, egli
la conosceva, conduceva al castello di Vallenera che era
a un paio di kilom(etri) lí presso, ma nascosto da una
spalla del monte. Questa vecchia strada era stata come
rifatta, e rimessa in gambe: e recava le tracce, col dise-
gno a spina di pesce, di due buone gomme di automo-
bile che c eran passate di fresco. L altra faceva un due-
cento metri, bella, larga e ben pavimentata, quasi ai
piedi del pendio, e poi finiva in un cantiere, pieno di
baracche, di carri e di uomini. Due carri gli venivano
incontro lentamente, cavalli pensierosi e ruote che sob-
balzano a un ciottolo. La verde falda del monte recava
oltraggi di spelacchiature e di scavi lungo una determi-
nata direzione.
Carletto entrò nel cantiere e chiese nuovamente del
signor ingegner Vendôme.
Andarono a cercarlo.
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Carlo Emilio Gadda - Racconto italiano di ignoto del novecento
Breve descrizione del cantiere (primo tocco colori-
stico del lavoro italiano) già utilmente introdotto con ac-
cenni. Colloquio con Vendôme a casa sua e lavoro assi-
curato. Liete speranze di vita e sogno per Nerina.
(Vendôme fratello di Maria sarà poi quello che sposa
Nerina. Carletto sarà l ucciso nella spedizione fascista.)
Circolo Filologico, domenica mattina.
7 dicembre 1924.
Carletto guardava: riconobbe tre pesanti autocarri come
quelli che lo avevano dinanzato il mattino. Da uno, piú
lontano, cava(va)no sacchi di cemento pulverulenti uo-
mini, coperti la testa e le spalle d un sacco di juta, piega-
to a formare cappuccio, come d un saio. Un secondo era
ancora intatto. Dal piú vicino, con grandi ordini e am-
monimenti e reciproci consigli, facevan scendere lungo
due travi inclinate delle macchine, e dei pezzi che pare-
vano chiocciole. «Che cosa sono» chiese a un manovale
che guardava. «Sono pompe» «Ah già!»
Dentro di sé pensava però che le pompe non hanno
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