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sca, gli diedero quella povera innocente della Saveria
per moglie, che lui voleva da tanto tempo, da quando
era rimasto vedovo, e la poverina piangeva da spaccare il
cuore. Ma quando i patti furono conclusi, i tre fratelli
divennero tre diavoli dannati. «Ah, sí, finalmente ci ave-
te fatto le carte! Ora comandiamo noi. Via, signor Ca-
millo Mezzatesta, nel covile, fra i porci». «Mi cacciate da
casa mia?» «Vi cacciamo dal vostro palazzo. Via nel
porcile. E anche tu, Pirria, ringraziaci se ci dimentichia-
mo di te». Erano proprio tre diavoli dannati. Il signor
Camillo fu davvero cacciato nel porcile e soltanto l’ani-
ma benedetta della Saveria lo ha tolto fuori e se lo tiene
in casa, e leticano tutti i giorni, perché il Lisca non vuole
che mangi a tavola con loro. Il Signor Camillo, quello
che, una volta, quando passava tremavano tutti! Ma non
è il peggiore, ed è piú stupido che cattivo. Il suo solo
torto è di aver voluto bene a quella donna e di non aver-
ne potuto fare a meno. Ma lei una casuccia se la è tenuta
da parte in piazza e vi si è rifugiata e grida tutto il gior-
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no. Ecco come cominciavano loro; dando fuoco alla vo-
stra stalla. Il signor Filippo Mezzatesta, quello grosso,
quando lo seppe, si stava, spaccando dal gran ridere.
«Ora vedremo che farà lo Zuccone, ha detto».
Ma anche me la sorte ha voluto punire. La Pirria,
messa fuori in quel modo, venne giú al giardino, e strap-
pandosi i capelli, disse al figlio: «Tu non mi dai piú pa-
ce, ma ora ti levo la tua. Anche la Schiavina, la tua
amante, è figlia mia. L’ho fatta col mulattiere che morí
cinque anni fa, lo Stanga. Ora sposatela la tua sorella-
stra». Io volevo morire e mi buttai ai piedi di Andreuc-
cio dicendogli che mi finisse. Mi disse soltanto: «Va’, e
non ti far piú vedere».
La Schiavina sbocconcellava un pezzo di pane, e
piangeva silenziosamente, e le lagrime le facevano salato
quel pane.
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XIII
Era una notte senza luna, con un debole lume di stel-
le, piena tuttavia di rumori, di passi, di canti lontani. Le
porte si erano chiuse all’ultimo barlume di luce, e qual-
cuno stava alla finestra, nel buio, a respirare il fresco che
scendeva dai monti. O forse era soltanto l’orcio dell’ac-
qua, che pendeva il sereno della notte. Ed ecco che in
quel buio si levò una voce, alta e potente, che veniva
dalla cima del colle soprastante il paese. Arrivava distin-
ta come quella del banditore, scendeva a larghe spirali
su quel buio d’uomini, e le parole ben sillabate si ricon-
giungevano in un senso meraviglioso.
«O gente!» diceva quella voce: «O voi tutti che siete
poveri, che soffrite e che vi arrabbiate a vivere! È arriva-
to il giorno in cui avrete qualche poco d’allegria. Le vo-
stre miserie le dimenticherete, perché sta arrivando il
carnevale, sebbene d’estate. Ve lo dico io! Fra poco ci
sarà abbondanza e allegria per tutti. Fra poco i vostri
padroni vi verranno a pregare, fra poco starete allegri.
Riderete. Evviva l’allegria!»
La voce si tacque, qualche finestra che si era aperta
per intendere meglio si chiuse forte. Quella voce non la
riconosceva nessuno e quel bando era qualcosa di so-
prannaturale e di mai ascoltato. Qualcuno s’ingegnava
di riconoscere quella voce, ma senza riuscirvi. Qualcuno
credette forse a un miracolo.
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XIV
La mattina seguente un bosco di Filippo Mezzatesta
prese fuoco. L’alba aveva sgomberata la montagna dei
vapori notturni, ma una bruma bassa rimaneva come un
velo caduto. Poi si vide un luccicore nel sole, come fa il
fuoco nella luce, o come quello che con gli occhiali da
presbite alcuni accendevano nel tabacco della pipa. Poi
un alito pesante e arso che si mescolava al calore del sol-
leone. Il Mezzatesta uscí sulla terrazza a guardare. Gli
portarono una sedia, e si mise a osservare come andava
il fumo greve, spostato appena da qualche alito di vento,
come se fosse troppo denso. Poggiava i pugni grossi sul
davanzale e gridava a chiunque passasse: «Aiuto, non lo
vedete che brucia lassú? Quello è il bosco mio, il bosco
di Zefiria. Perché non correte a spegnere?» «La vostra
Signoria parla con me?» rispondeva qualcuno e seguita-
va per la sua strada. «Gente maledetta da Dio, perché
nessuno corre ad aiutare? Olà, servi, correte a cercar
gente. Io pago, pago molto!» Ma nessuno gli dava retta
e i servi piú che girare come asini pel paese non poteva-
no fare. Gli sembrava che il paese intero gli volgesse le
spalle, e avesse piacere a vederlo disperarsi enorme sulla
terrazza dove non appariva mai e a predicare come da
un pulpito. Una fila di ragazzi e di donne non perdeva-
no uno solo dei suoi atti e delle sue parole, ed egli irrita-
to cominciò a tirare in basso certi calcinacci che aveva
staccato dal parapetto della terrazza. Guardava i pro-
gressi del fuoco, come andava sicuro, e con ordine, che
pareva ragionasse; come si accendeva e come sostava,
come si alimentava, come superava le barriere dopo es-
sersi raccolto prima del salto, e come gli rispondevano
subito gli alberi piú lontano prendendo fuoco subita-
mente, quasi che si rallegrassero e si incendiassero sol-
tanto al pensiero dell’approssimarsi della fiamma. Alla
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sera il fuoco aveva sbarrato tutto il crinale del monte. Ci
volevano non meno di cinquanta persone a tentare di
fermare quell’ira di Dio. Lui protestava che avrebbe pa-
gato. Ma gli rispondevano: «Poteva pagare prima». «E
che cosa faccio io per i pascoli quest’anno? E che do da
mangiare alle bestie? O fuoco che mi brucia, o danno
che mi rovina!» I pastori arrivarono dicendo che aveva-
no potuto salvare il bestiame portandolo dall’altro ver-
sante, che inutilmente si erano opposti al fuoco e che la
montagna ardeva come un braciere. Egli, afferrato al pa-
rapetto della terrazza, ad ogni lembo di terra che il fuo-
co invadeva, gridava come se la vedesse sprofondare.
Sul crinale del monte i ragazzi videro crollare la proces-
sione d’alberi che si staccavano nel cielo e intorno a cui
avevano fantasticato come di giganti.
Il Signor Filippo uscí, seguito da pochi servi e pastori,
si fece issare su un mulo, e prese la via del bosco. «Lo
spengo io! E me ne ricorderò di quelli che non mi han-
no voluto dare aiuto». Ma a mezza costa il mulo non
poté piú proseguire, ed egli, in testa ai suoi uomini, af-
frontò la salita. Si sentiva l’imminenza delle fiamme co-
me un alito stranamente odoroso. Le foglie degli alberi
piú lontani si accartocciavano e si mettevano a tremare
come creature. Piú lontano, tra la foschia de fumo,
splendevano verdi e abbaglianti alcune querce come in
un teatro, ma improvvisamente avvampavano con uno
strepito di fuoco d’artifizio. I pastori, coi piedi e le mani
e il viso coperti di stracci, fra cui solo gli occhi si apriva-
no un varco, fecero a colpi d’accetta certe grandi scope
di rami verdissimi e cominciarono a battere il fuoco co-
me si batte il grano, cercando di soffocare le fiamme piú
vicine. Era notte ma ci si vedeva come davanti a un for-
no. Si sentivano lontani i muggiti e i belati degli armenti
in fuga, e fra il crepitio delle fiamme che era come un
gran vento impetuoso, le voci dei pastori che gridavano
parole incomprensibili. Nuovi rami verdi sostituivano
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quelli con cui si picchiava il fuoco e che a loro volta mi-
nacciavano di incendiarsi, ma i lentischi là in mezzo e i
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